Mario Mantovani • È ora delle competenze manageriali

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Mario Mantovani è Vicepresidente di Manageritalia, la Federazione nazionale dei dirigenti, quadri e professional del commercio, trasporti, turismo, servizi e terziario avanzato ed inoltre Presidente della CIDA, Confederazione Italiana dei Dirigenti e Alte Professionalità.

Laureato in Economia e Commercio, è dirigente dal 1990. La sua carriera è quasi tutta dedicata a generare e gestire cambiamenti: nei primi 15 anni come manager di due grandi società di consulenza e information technology internazionali, successivamente come CFO, direttore generale e amministratore delegato in imprese italiane e internazionali gestendo crisi, fasi di trasformazione o piani accelerati di crescita.

A fine aprile, come Presidente CIDA, ha organizzato “Maratona con i Manager”, una manifestazione virtuale di oltre 17 ore, che ha riunito oltre 400 proposte di dirigenti pubblici e privati e alte professionalità per il Paese.

Presidente, l’iniziativa “Maratona con i Manager” organizzata dalla CIDA e che ha visto una straordinaria partecipazione in piena fase di lockdown con oltre 153.000 associati tra medici, presidi e manager pubblici e privati, collegati via web, ha segnato un punto di svolta nella percezione dell’opinione pubblica del ruolo che l’alta dirigenza svolge nella vita sociale ed economica in Italia. Qual è il suo giudizio a posteriori?

Siamo molto contenti del successo ottenuto. Abbiamo intercettato il sentire comune di tante persone che, al di là di ogni appartenenza di categoria, vogliono imprimere un passo decisamente diverso al nostro Paese, vogliono farlo correre puntando senza compromessi su competenze e responsabilità. Come ha detto nel suo intervento, il Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli: “Il contributo di manager e alte professionalità rappresenta un punto di vista vitale in termini di know-how e capacità. Siamo a un cambio di fase, nei prossimi mesi serviranno le vostre caratteristiche di visione, capacità, pragmatismo, progetti e competenze.

In questi mesi si è aperto un interessante dibattito sul Corriere della Sera sul ruolo della classe dirigente in Italia. È intervenuto con una lettera anche Silvio Berlusconi che ha proposto un tavolo a cui dovrebbero partecipare imprenditori e manager per aiutare con proposte operative un riassetto della vita pubblica in tutti i campi: dall’economia alla giustizia, dal sindacato all’università, dalla dirigenza pubblica alla ricerca. Come la CIDA potrebbe aiutare questa nuova fase?

Speriamo che sia la volta buona. Io sono convinto che la democrazia si concretizzi nelle forme organizzate di rappresentanza. Invocare il generico contributo è pura retorica. Se ci affidiamo agli scienziati per curare il virus, lo stesso dovrebbe valere per i manager per curare l’economia. È un concetto semplice che anche la classe politica dovrebbe capire. Chi meglio di manager professionisti può gestire la sicurezza sui luoghi di lavoro? Chi meglio dei presidi può indicare le soluzioni per la scuola? Il progetto di una casa prevede in primis l’intervento dell’architetto e dell’ingegnere, senza di essi l’edificio crolla. Oggi è in gioco la Reputazione del nostro Paese a livello mondiale. Il marchio “Made in Italy” è appannato da pregiudizi più o meno interessati, l’apporto dei manager e delle alte
professionalità servirà tantissimo nell’immediato futuro, proprio per le caratteristiche di visione, capacità, pragmatismo, progetti e competenze che fanno parte del loro know-how. È necessaria la discesa in campo di una squadra unita, capace di determinare un salto di qualità e competenze per il bene dell’Italia.

La frase “mantra” del lockdown è stata: ci si salva tutti insieme. L’intervento dello Stato, l’erogazione dei sussidi, sono stati necessari per superare l’emergenza ma non possono che avere una durata limitata. Si tornerà a crescere solo se si rilanceranno investimenti, competenze, merito, ricerca e concorrenza. Tutti questi buoni propositi sembrano però vanificati dall’eccesso di burocrazia e da norme contraddittorie. Cosa si può concretamente fare per spezzare queste catene che fanno solo male all’Italia?

Io non sono proprio convinto che siano i cosiddetti “burocrati” a spingere per mantenere lo “status quo”. Chi lavora nella pubblica amministrazione, e mi riferisco alle posizioni apicali, ha qualche volta un approccio per così dire “difensivo” perché è intimorito dalle conseguenze, penali e civili, derivanti dalla responsabilità propria di trasformare delle decisioni politiche in applicazioni operative. Il sistema delle responsabilità non è equilibrato, le leggi si assommano e l’errore è sempre in agguato per cui al momento dell’applicazione pratica della legge si cerca sempre di inserire qualche ulteriore norma per ridurre il rischio di ritrovarsi a pagare, in quanto anello debole finale della catena che mette il timbro e si assume la responsabilità di quanto scritto. Nell’emergenza che stiamo vivendo, inoltre, la decretazione d’urgenza ha fatto sì che provvedimenti complessi varati a notte tarda dovevano essere tradotti in circolari esplicative in 24 ore. Il ricorso al TAR è sempre in agguato e la responsabilità non va alla politica ma alle strutture che hanno materialmente scritto il provvedimento. La burocrazia nasce in Parlamento, nasce dalle leggi e da come sono scritte e pensate.

Ha fatto molto discutere la garanzia chiesta da FCA Italia allo Stato, tramite la SACE, per un prestito di 6,3 miliardi…

“Questo tipo di misure riguarda grandi imprese a livello europeo con una forte presenza in Italia (ricordo che FCA impiega nei suoi stabilimenti italiani oltre 55.000 persone in modo diretto e altrettante con l’indotto), non possono essere trattate dalla politica come una elargizione “pro bono”. Aiutare le imprese deve essere il compito primario se vogliamo una ripresa economica degna di questo nome. Non si tratta di fare un “favore” ai proprietari ma di salvaguardare il nostro sistema produttivo. Nel caso specifico è vero che FCA ha la sede legale fuori dal territorio nazionale, ma le tasse le paga in Italia come gli stipendi ai suoi dipendenti. Altre grandi aziende di Paesi europei (l’ultimo caso riguarda la Renault, ma anche Lufthansa e Volkswagen), stanno in grosse difficoltà finanziarie, forse sarebbe il caso di pensare ad un disegno generale che garantisca a questo tipo di imprese una garanzia finanziaria di livello europeo, attraverso, ad esempio la BCE e non pesare solo sui singoli Stati. La crisi che stiamo attraversando è di livello continentale e anche le risposte devono essere continentali. Non dimentichiamo che nell’ultimo decennio l’Italia è cresciuta molto meno del resto d’Europa, ha prodotto meno ricchezza e ha peggiorato il rapporto tra debito e Pil. Ora, o mettiamo insieme un grande progetto che abbia come stella polare una crescita stabile e duratura, coinvolgendo le migliori competenze del Paese, oppure nel medio termine quel debito al 160% del Pil ci piomberà sulla schiena e, allora, saranno dolori veri.

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